Il Dio con noi

natale2016Nelle profezie che annunciano la nascita del Messia, egli viene chiamato con il nome di “Emmanuele” che significa “Dio con noi”. In questo Natale mi pare sia un annuncio attuale e importante da accogliere e approfondire e da riferire alla nostra vita concreta. Una delle esperienze che molto frequentemente ascolto nei colloqui con le persone è il senso di solitudine e la paura della solitudine. Forse ne è in parte responsabile il ritmo e lo stile della vita che oggi un po’ tutti viviamo: ritmi accelerati, tempi stretti, scadenze incalzanti, ansia da prestazione, difficoltà a coltivare relazioni significative e profonde. E così ci si sente soli, abbiamo l’impressione di far fatica a “legare” con le altre persone, con le altre famiglie, con il tessuto vivo della comunità cui apparteniamo. E il senso di solitudine si fa più intenso quando ci ammaliamo seriamente, quando una persona cara si ammala gravemente o viene a mancare, quando sperimentiamo un evento di grave “perdita” affettiva o legata all’autostima (perdita di lavoro, insuccessi, fallimenti).
Il Vangelo di Luca che leggiamo nella notte e nel giorno di Natale annuncia un segno strano della nuova vita, del nuovo modo di essere recato da Gesù. E’ un segno che appare strano perché, a prima vista, sembra irrilevante. “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Luca 2, 12). Nella semplicità delle parole si coglie un contrasto profondo. Si tratta di un bambino avvolto in fasce, cioè accolto con amore, curato, desiderato e accudito con tutto l’affetto possibile da Maria. Eppure giace in una mangiatoia, un luogo in cui un bambino non dovrebbe mai esserci: è quindi un bambino povero, senza casa, solitario, abbandonato, senza un luogo accogliente. In questo contrasto tra la cura e l’attenzione di Maria e l’estrema povertà e solitudine di Gesù sta il segno che Dio è presente nella nostra vita, nel mondo umano. Per comunicarci il suo “essere con noi” Dio ha scelto l’esperienza della estrema povertà, dell’abbandono, del non essere accolto. E questo è solo l’inizio della vita umana del Figlio di Dio che si compirà nell’estrema solitudine della croce, nell’essere rifiutato e scartato dagli uomini, nel sentirsi abbandonato persino da Dio nel momento della morte. E’ questo, mi pare, il vero senso del Natale, al di là di tutti gli aspetti più periferici, folcloristici, tradizionali, che pure hanno il loro valore, ma che potrebbero nascondere l’essenziale: l’esperienza del mistero di Dio tra noi, con noi, Dio che prende su di sé e condivide fino in fondo le nostre debolezze, solitudini quotidiane, Dio che entra anche nel mistero della nostra sofferenza e della nostra morte per liberarci dalla morte. Questa presenza e condivisione di Dio della nostra vita non è solo di duemila anni fa, ma continua e si manifesta anche oggi, in questo nostro tempo, oggi, nella notte di Natale, nella parola del Vangelo, nel pane di vita spezzato dal sacerdote nella Messa, nel gesto di un fratello o di una sorella della comunità. Il mistero del Natale, del Dio con noi ci annuncia che anche nelle nostre solitudini non siamo soli, che le malattie e le sofferenze che attraversiamo non sono punizioni o segno della maledizione, ma sono luoghi ed esperienze abitate da Dio e quindi salvate, liberate. Il Verbo che si è fatto carne è presente nella mia vita e mi chiede solo di accoglierlo, di aprirgli il mio cuore. Ma ci chiede anche di aprire il cuore ai vicini e ai lontani perché nessuno sia lasciato solo nel cammino della vita, ma possa sperimentare una presenza, una vicinanza che è segno e strumento della vicinanza del Dio con noi. Buon Natale!

Don Paolo

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