Quello che faccio… lo capirai dopo…

Quello-che-faccio

“(…) si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. (…) Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Capite quello che ho fatto per voi? (…)” (Gv 13, 4-5; 12).

Ci vuole tutta una vita, anzi, ci vuole tutto “un ascolto”, per capire “che cosa hai fatto” quella sera per me. Io “che mi siedo spesso”, nervoso e insofferente, con “la voglia di niente” dicendo che sono troppo stanco, che ho troppi impegni, che non ho tempo per altro, visto che la mia vita è già troppo incasinata e piena: studio, lavoro, sport, amici, scout, parrocchia, famiglia e anche la mia ragazza.
Tu che, ancora una volta, ti “alzi da tavola”, nel mio insegnante che non cede alla mia pigrizia di non voler migliorare, in mio padre che aspetta delle ore in macchina fuori dal “Gusto” per portarmi a casa, in mia madre che, tra lavoro e faccende domestiche, non smette mai di guardarmi negli occhi per capire come sto. Io “che non mi sbottono mai” se penso di avere ragione e “indosso” abiti non miei, quelli dell’“apparire” e dell’“imitazione” per conformarmi alla moda di questo mondo che non vuole debolezze, limiti, fragilità e dove è meglio indossare una maschera per essere accettati, quella dello “splendido” al di là di tutto e oltre a tutto. Tu, invece,“che deponi le vesti” e ti spogli nella tua disarmante nudità che mi provoca e mi mette a nudo anche se faccio di tutto per nascondermi e non essere quello che sono.
Ti spogli nello sguardo dell’amico che mi conosce veramente, nel capo e nell’educatore, che mi cercano quando voglio perdermi per “fare” e “essere” come la folla, rinnegando le tante esperienze vissute e le tante promesse fatte non tanto agli altri ma a me stesso, davanti a te, quando sono veramente felice, vero, accettato e amato per quello che sono. Io “che porto scarpe firmate” per essere alla moda, “tecniche” per non sentire la fatica della strada, “traspiranti” per non puzzare ma… che ho i piedi come tutti gli altri. Spesso sono indolenziti, stanchi, sudati, sporchi, puzzolenti per le mie lunghe giornate in cui mi trovo a correre e scappare da me stesso e dagli altri, percorrendo strade fangose dove mi impantano e mi sporco dei miei errori e sbagli. A volte mi inerpico sui sentieri del mio orgoglio e i miei piedi poggiano sulle creste taglienti della vanità e si feriscono perché le suole non tengono e si lacerano. Allora cado in basso e preferisco rintanarmi in luoghi dove trovo rovi e spine piuttosto che ritornare a casa e dire “scusa…perdonami”. E tu, mi segui, magari da lontano, ma mi segui.
Ti infanghi, ti tagli, ti spini anche tu i piedi ma non molli e, con la forza di un padre, mi raggiungi finché mi trovi, mi prendi in braccio e mi porti a casa. Poi ti prendi cura di me e mi servi. “Lavi e asciughi” questi miei piedi con la tenerezza di una madre. Ti scorgo far questo nei volti di tutti quelli che mi vogliono bene e proprio in loro ti sento dirmi sorridendomi: “Hai capito quello che ti ho fatto e ti farò oggi e sempre?”. Sì, Signore, perche tu hai “ripreso le vesti” ma non ti sei tolto dai fianchi l’asciugamano di chi serve per amore, fino in fondo, fino alla fine e anche dopo la fine.
Non so se ho veramente capito, ma tu continua a insistere con me Signore, perché il tuo amore cambia ogni cosa e la fa nuova, persino la morte. Grazie perché mi lavi i piedi “in eterno”, mi ami di “amore eterno”. Hai detto a Pietro confuso: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo” (Gv 13, 7). E’ vero Signore, lo capisco sempre “dopo”, ma so che tu non ti stancherai mai di essermi “servo per amore” perché, sul tuo esempio, possa fare ai miei fratelli come tu hai fatto con me.
Buona Pasqua.

Don Nicola

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