Notiziario di Pasqua 2014

Il notiziario della Parrocchia di Cerese

Comunità di Cerese

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Sommario:

Un amore più forte della morte

Mentre mi accingevo a scrivere queste righe, è giunta inattesa e dolorosa la notizia della morte improvvisa di Gianni Colombari, un caro amico, collaboratore competente nella vita della comunità parrocchiale, molto stimato e apprezzato anche nel suo ambiente di lavoro (ERSAF: Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e le Foreste). Mi è parso allora inevitabile, ma forse anche provvidenziale pensare alla Pasqua come mistero di morte e di vita: la morte di Gesù vissuta per amore e con amore, che diventa nella risurrezione un’ energia di vita piena e luminosa, capace di annientare la morte con tutto il suo apparato. Gesù stesso ne aveva parlato servendosi dell’immagine del “chicco di grano”, il quale , se non accetta di morire, rimane solo, sterile, non fecondo; se invece accetta di morire, di perdersi nella terra, produce molto frutto. E Gesù commenta questa immagine dicendo: “Chi ama la sua vita le perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv.12,25). Proviamo a declinare questa parola di Gesù in alcune situazioni concrete della nostra vita in cui sperimentiamo come la vita, o una vita più piena e umana, sia generata dalla morte. Lo stesso accettare di generare la vita, di diventare cioè genitori, implica il far morire certi sogni di libertà, certi modelli e ritmi di vita che con l’arrivo di un figlio non sono più possibili e compatibili. Dall’altra parte l’accettare di lasciar cadere questi stili di vita permette di accogliere la vita di un figlio, che arricchisce in modo inestimabile la vita degli sposi, che iniziano ad essere “padre” e “madre”, con tutta la ricchezza di umanità espressa da queste parole. Una morte dunque che genera vita. C’è poi l’esperienza dei genitori dei preadolescenti e degli adolescenti, chiamati al difficile ma ineludibile compito di accompagnare la crescita umana dei figli. Le due tentazioni più facili, ma entrambe inefficaci e dannose, sono quelle di essere autoritari o permissivi. Entrambi gli atteggiamenti nascondono l’incapacità o la non volontà di “morire a se stessi”, cioè di abbandonare certe rigidità che non permettono il dialogo con i figli e il loro ascolto, oppure l’incapacità di vincere la paura di perdere l’affetto dei figli qualora si dicano loro dei “no” motivati, accanto a tanti “sì”. Un’altra morte che genera vita riguarda l’accettazione che i figli crescendo compiano le loro scelte, che spesso non coincidono con le attese dei genitori. Nel rapporto di coppia, solo un certo morire a noi stessi consente di accettare l’altro o l’altra così com’è, abbandonando i miraggi dell’idealizzazione dell’altro (Freud diceva che se io idealizzo l’altro, gli faccio violenza). Nella vita comunitaria, per far crescere lo stile di comunione e di corresponsabilità è necessario far morire l’individualismo e il protagonismo per far vincere gli atteggiamenti del coinvolgimento degli altri, del fare insieme, del condividere i progetti e le risorse, del valorizzare i doni e le capacità di ciascuno. Nella vita dell’impresa, l’imprenditore che ricerca solo il profitto per sé, vedrà a poco a poco morire la sua azienda, se invece sceglie di reinvestire parte del profitto nell’azienda stessa, favorendo l’innovazione e la formazione dei dipendenti, coinvolgendoli il più possibile nella gestione dell’impresa e accettando di ridistribuire il profitto creando nuove opportunità di lavoro, vedrà rinnovarsi la sua azienda. Il mistero del rapporto morte/vita lo viviamo infine compiutamente nel nostro umano morire: il morire è l’esperienza umana dell’essere radicalmente sottratti a noi stessi, quindi l’esperienza di massima passività. Proprio questa esperienza può diventare il vertice dell’auto donazione, del donare se stessi, la propria vita. Così è stata la morte di Gesù: “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc. 23,46). E il Padre ha accolto l’offerta della vita di Gesù e lo ha risuscitato a vita nuova. Così credo sia stato il morire di Gianni a coronamento di una vita spesa nel servizio del Signore e dei fratelli e per questo lo penso già partecipe della vita piena del Cristo Risorto. Così sia per ciascuno di noi, accettando ogni giorno di far morire l’uomo vecchio, perché nasca e si sviluppi il nuovo. Buona Pasqua!

Don Paolo

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