Cosa posso sperare?

Leggo in una rivista che nella sola Calcutta, sono oltre sessanta gli Istituti per bambini poverissimi gestiti dalle Missionarie della carità di Santa Madre Teresa. In questi bambini feriti dalla malattia o dal rifiuto, queste suore sanno intravedere Gesù Crocifisso. Per questo, le religiose considerano il loro servizio “tempo trasfigurante di adorazione” ed amano ripetere, come faceva la Madre, che “Non c’è azione che non sia contemplazione”. In ogni cappella troneggia un grande Crocifisso con la scritta: “Ho sete”. E il compito delle religiose in ogni angolo della terra è proprio quello di alleviare le sofferenze del Crocifisso, offrendogli “un bicchiere di acqua fresca”, fasciando piaghe, lavando lenzuola e abiti, somministrando cibo e medicine, suscitando gioia e speranza. Particolarmente scioccante la visita al lebbrosario di Titagarh, casa che ospita sessanta malati di lebbra. La comunità è bene organizzata e autosufficiente. Sono gli stessi malati che si prendono cura dei loro compagni di sventura, che tessono indumenti e lenzuola. I telai sono sempre in funzione. Scarpe speciali, apparecchi ortopedici, stampelle, arti artificiali, vengono prodotti in loco, come pure tutto quanto serve per l’alimentazione: frutta e verdura, carne, pesce e chapati (il caratteristico pane indiano).
Ma tutto ha il suo centro: l’Eucaristia.
Madre Teresa ripe-teva: “Da Gesù eucaristia siamo trasfigurate per aiutare i poveri più poveri. Senza questa grazia, non potremo certo trasfigurare la realtà dolorosa dove lavoriamo con lo sguardo e le mani di Gesù”.
Si narra che i famosi nobili cavalieri bretoni hanno sfiancato i cavalli in lunghe ricerche per ritrovare il Sacro Graal, la coppa che è servita a Cristo nell’ultima Cena. Ma ci sono stati e ci sono ancora oggi molti più uomini e donne del “grembiule”, che come Gesù si chinano a fasciare le piaghe di tante persone lesionate dalle asprezze della vita contemporanea.
Solo chi ha una ragione per cui vale la pena di donare, spendere la vita, ha anche una ragione per vivere. E Gesù questa ragione l’aveva: l’amore per i fratelli, il servizio agli uomini. Questo è ciò che Gesù ha vissuto realizzando la volontà di Dio nella storia. E questa salvezza che gli uomini evangelizzati
possono sperimentare già qui e ora troverà la sua pienezza nella risurrezione per la vita eterna. Sì, Gesù è il vincitore della morte, è l’uomo risorto e vivente.
“Cosa posso sperare?” si domandano gli uomini di fronte al male e alla morte. La speranza è la risurrezione: questa è la peculiarità della fede cristiana, la buona notizia che dovremmo saper comunicare, il nostro vero debito verso l’umanità non cristiana, verso l’umanità che è cristiana solo di nome. Solo l’amore può vincere la morte, e l’amore di Dio, espresso e vissuto in Gesù, ha riportato questa vittoria definitiva.
E’ una Pasqua di amore che auguro a ciascuno di voi, che riparta dall’Eucaristia domenicale, ove trova la sua settimanale attualizzazione e si prolunga nell’impegno quotidiano di dono e di servizio.

 

Don Claudio

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